L’arresto di Matteo Messina Denaro ha galvanizzato l’opinione pubblica: la notizia del suo fermo presso una clinica privata di Palermo, in seguito al trattamento a distanza di un anno da un’operazione è stata accolta dalla stampa con giubilo. La latitanza del super boss durata ben 30 anni si è finalmente conclusa con l’arresto del capomafia di Castelvetrano da parte dei carabinieri del Ros che sono stati coordinati dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
Il superlatitante in seguito al blitz è stato condotto nella caserma San Lorenzo per poi prendere un aereo per essere condotto in una struttura carceraria di massima sicurezza. Come riferito da Piero Grasso nel corso del suo colloquio con Liana Milella, giornalista di Repubblica, questo è il ritratto del boss: “Dalle loro testimonianze veniva fuori una personalità assolutamente superiore alla media. Era stato lui a proporre i beni artistici come obiettivo da colpire per le stragi del 1993, perché era più acculturato rispetto a Riina e ad altri. Aveva una formazione superiore rispetto a quelle degli altri boss.
Con Bagarella e Brusca è stato tra gli ideatori delle stragi di Roma, Firenze e Milano, dopo essere stato tra i protagonisti di quelle del 1992. Faceva parte del commando, con Sinacori e Graviano, che proprio nel febbraio di quell’anno doveva uccidere Falcone a Roma […]”.
Arresto Matteo Messina Denaro: parla Piero Grasso
L’ex pm di Palermo che è stato anche procuratore nazionale antimafia ha poi spostato l’attenzione sulla rete di protezione che gli ha garantito per 30 anni la possibilità di essere un latitante: “I suoi collaboratori lo descrivevano come una persona molto amata perché era considerato un benefattore nei territori in cui lo conoscevano. Si faceva ben volere e questo spiega i trent’anni di latitanza con la copertura di chi aveva cointeressenze in affari con lui, che aveva quindi tutto l’interesse a coprirne la latitanza.
Dopo l’arresto di Provenzano si era pensato che fosse diventato lui il capo di Cosa nostra. Invece pare proprio che questo non fosse avvenuto per sua scelta, perché voleva restare nel suo territorio e gestire gli affari e avere così una maggiore protezione che poteva trovare invece delle falle se si fosse occupato di tutta la Sicilia”.
Alla domanda se sono troppi 30 anni per catturare un latitante come Matteo Messina Denaro ,Piero Grasso ha risposto con piglio analitico: “Possono non esserlo con una rete di protezione come la sua, o come quella di Provenzano, 43 anni latitante, o di Riina, che è rimasto libero per una ventina. I latitanti sono protetti davvero, cambiano nome e sembianze, il posto più sicuro per loro è tra le persone con cui fanno affari, che usano il loro nome e quindi hanno tutto l’interesse a proteggerli”.
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