I ricercatori dell’Università di Aarhus e dell’ospedale universitario di Aarhus, in Danimarca, spiegano perché i soggetti asintomatici non hanno alcun sintomo del Coronavirus.
Un tema che ha creato grande interesse nell’ambiente scientifico in quanto avvolto dal mistero. Ma ora arriva la risposta.
Infatti in team di ricerca è riuscito a scoprire che la risposta è nello stesso virus SARS-CoV-2.
Infatti il patogeno è in grado di nascondere il suo genoma. Che così non viene riconosciuto dal sistema immunitario dell’ospite.
Quindi la chiave di questo argomento misterioso è nei macrofagi alveolari. Che determinano quanto velocemente può verificarsi una risposta immunitaria ad un’infezione da Covid-19.
Questi macrofagi sono infatti i primi ad incontrare il virus nel corso dell’infezione.
Quindi il compito dei macrofagi alveolari è quello di attivare la stessa reazione al virus. Un meccanismo che ha un profondo impatto sul decorso dell’infezione.
I risultati dello studio sui soggetti asintomatici cosa fa scoprire sul Coronavirus?
I risultati della ricerca si sono pubblicati sulla rivista EMBO Reports. La ricerca ha dimostrato che il virus SARS-CoV-2 è in grado di inibire la produzione di interferone nelle cellule epiteliali infette.
Si tratta di importanti dati che suggeriscono che il Coronavirus può nascondere il suo materiale genomico. In modo che non sia riconosciuto nei macrofagi alveolari. Ne deriva così la mancata produzione di interferoni.
Il meccanismo che determina la condizione dei pazienti asintomatici è rilevante. Infatti è un fattore chiave per rallentare la diffusione dei contagi da Coronavirus.
Ma è anche un elemento decisivo per controllare la trasmissione del contagio nei pazienti che hanno superato la malattia. I quali sono comunque portatori del virus.
La ricerca sui pazienti guariti dal Covid-19, ma ancora positivi: quasi 1 caso su 5
Da quanto illustrato da uno studio del Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli di Roma, circa il 17% dei pazienti considerati guariti sono risultati positivi al virus nei test di follow-up.
Questo studio, pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, ha esaminato alcuni pazienti che hanno continuato a manifestare dei sintomi respiratori. Ossia presentavano sia mal di gola sia rinite. Questi malati avevano più probabilità di una positività al test.
Gli esiti della ricerca hanno evidenziato che la persistenza di questi due sintomi non si deve sottovare. Quindi è bene esaminare in modo adeguato tutti i malati guariti da Covid-19.
Lo studio ha coinvolto 131 pazienti. I quali hanno soddisfatto i criteri dell’OMS per sospendere la quarantena almeno due settimane prima della visita di follow-up.
I criteri dell’OMS specificano che il paziente non deve avere febbre da 3 giorni. Ma anche mostrare un miglioramento dei sintomi legati al virus. In particolare, il soggetto deve risultare negativo da più di 7 giorni.
Francesco Landi che ha guidato lo studio ha spiegato:
“I nostri risultati indicano che un notevole tasso di pazienti guariti da Covid-19 potrebbe ancora essere portatore asintomatico del virus.
Il quesito principale per contenere l’infezione pandemica SARS-CoV-2 che deve ancora essere risolto è se la presenza persistente di frammenti di virus significa che i pazienti rimangono contagiosi”.
Sottolinea Landi in conclusione: “Il test PCR cerca piccoli frammenti di RNA virale. Un test tampone positivo può rivelare se i pazienti continuano a rilasciare frammenti virali. Ma non è in grado di individuare se sono infettivi o no”.