Curiosità

Il tumore alla vescica potrebbe essere correlato all’acqua del rubinetto

Secondo numerosi e recenti studi, la comparsa del tumore della vescica potrebbe essere collegata all’assunzione quotidiana dell’acqua potabile del rubinetto.

I suddetti studi hanno analizzato le sostanze presenti nell’acqua, ritenute attualmente molto pericolose e che potrebbero causare numerosi e gravi problemi alla nostra salute.

Tumore della vescica: un nuovo allarme

Cloroformio, bromodiclorometano, dibromoclorometano e bromoformio, nomi difficili da leggere e probabilmente i diretti responsabili di oltre 6 mila casi all’anno di tumori della vescica.

6 mila casi che potrebbero essere evitati, almeno 2900, se i Paesi europei rispettassero determinati limiti imposti. Lo studio è stato pubblicato su Environmental Health Perspectives e portato a termine dall’Institute for Global Health di Barcellona.

I ricercatori hanno analizzato i composti dell’acqua di 26 Stati e secondo le analisi il tumore alla vescica è direttamente correlato a essi.

Nessuna correlazione causa-effetto però. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, si è limitata a classificare due sostanze come “potenzialmente cancerogene”. Le altre nonostante alcune prove sono ancora in dubbio.

Lo studio nel dettaglio

Il team dei ricercatori ha analizzato i valori dal 2005 al 2018. Hanno preso in esame, casi differenti, temperature e i composti. I Paesi con i valori più alti sono Cipro, Irlanda e Malta, mentre quelli con i valori più bassi sono i Paesi Bassi e la Danimarca. Seguite da Germania, Lituania, Austria, Slovenia, Italia e Polonia.

I dati affermano che in Italia il numero dei tumori alla vescica sono attribuiti all’esposizione dei trialometani, nel 1,2% dei casi. Circa 336 casi sui 30mila che si verificano all’anno.

Infatti, la maggior parte dei tumori alla vescica (70% dei casi) sono causati dal fumo di sigaretta. Sergio Bacarda, uno dei massimi esperti di tumori urogenitali e direttore dell’Oncologia medica dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni, è stato chiaro.

Il medico ci ha tenuto a sottolineare l’importanza dello studio spagnolo e ha affermato con convinzione:

“Pur essendo l’Italia considerata un area a basso rischio nell’ambito dei paesi europei studiati, la presenza di una copertura geografica incompleta e l’esistenza di paesi europei a rischio zero anche per l’uso di sistemi di potabilizzazione diversificati, suggeriscono l’importanza di un monitoraggio e di un miglioramento continuo della qualità delle acque potabili italiane, al fine di ridurre ulteriormente i rischi indiretti derivanti dall’uso di acqua potabile”.

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